Proprietà privata, con vincoli demaniali
Sito in via Trieste, in località Boldara, è stato costruito nel XX secolo sui resti di un precedente edificio risalente al XV sec. L’imponente fabbricato sulle rive del Lemene si sviluppa su tre livelli, con gli ultimi ampliamenti negli anni Cinquanta del ‘900. Il valore paesaggistico e l’interesse architettonico pongono la località a pieno titolo nell’ambito del “Parco dei Fiumi Lemene, Reghena e delle Cave di Cinto”. Le recenti opere di riqualificazione delle sponde del fiume permettono di effettuare una suggestiva passeggiata lungo il corso d’acqua.
Anticamente i mulini erano due: quello di Boldara propriamente detto e il Nogarolo (luogo con un grande noce). Ambedue sorgevano nel mezzo della palude che si estendeva tra gli abitati di Boldara e Cintello, a poca distanza l’uno dall’altro, mossi dalle acque del Lemene o derivazioni, e investiti per lungo tempo dalla stessa famiglia, i Brazzà. Se le attività erano le medesime, macina di grani e segheria di legnami, la particolarità stava tutta nel fatto che i due mulini, quasi adiacenti, appartenevano a due diverse giurisdizioni: il Nogarolo, detto mulino di Cintello, controllato dai vescovi di Concordia, mentre quello di Boldara (o “Mulin Grando”) nel dominio degli abati sestensi. La vicinanza e sovrapposizione di utilizzi, quindi, sono spiegate dalla grande concorrenza di interessi tra i giurisdicenti in continua lotta tra di loro.
Il Nogarolo dovrebbe essere il più antico: è citato infatti dal vescovo di Concordia Fulcherio nell’investitura per il ponte “super Leminis a parte inferiori mollendini Nugaroli” a Varnerio del fu Lupoldo di Gruaro (1270). Nel 1297, poi, è investito dal vescovo Giacomo di Ottonello al nipote Bartolomeo di Giovanni di Ottonello da Cividale, descritto “destructo et combusto”. Sarà pertanto ricostruito nuovamente.
Le testimonianze, invece, del Mulin Grando partono dal 1440 con l’investitura dell’abate di Sesto Tommaso Savioli al nobile Ettore di Cergneu-Brazzà. In essa risulta dotato di tre ruote, sega e maciolo (follo da lana), mentre la posta molendini pare fosse appartenuta in precedenza agli Sbrojavacca. Successivamente, verso il 1482, il mulino viene ricostruito. A partire dal XVI secolo anche il mulino del Nogarolo giunge nelle mani dei Brazzà. Dopo gli Ottonelli di Cividale era passato nel ‘400 ai Panciera di Zoppola. Il controllo dei due impianti da parte di un’unica famiglia determina, quindi, la graduale differenziazione delle attività, riservando al mulino di Boldara soprattutto la macina di grani e la follatura di panni, con trasformazione del Nogarolo in battiferro (XVIII secolo) e pila, prima di orzo e poi di riso (inizi Ottocento). Le due strutture rimangono in piedi fino ai primi Novecento, quando il vecchio mulino di Cintello è trasformato in abitazione, mentre il Mulin Grando è ricostruito radicalmente secondo esigenze più moderne. Macinerà grani fino agli anni ’60 del Novecento.